Dai Pink Floyd a David Bowie: la rinascita del disco è un fenomeno consolidato, ma i titoli più gettonati restano i classici di ieri
L’ultima classifica settimanale del 2016 dei vinili più venduti in Italia ha visto svettare una vecchia conoscenza: The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd
. Un album che sta per compiere 44 anni. Sul
podio sono saliti anche i Rolling Stones e il duo Mina/Celentano. Anche
loro 44 anni fa erano già in testa alle classifiche, ma sono presenti
con album nuovi. Quindi, dal quarto al sesto posto, un monologo floydiano
d’epoca: The Wall (1979), Wish You Were Here (1975), Animals (1977). Potrebbe sembrare una delle tante debolezze che amiamo odiare nel nostro paese e nella sua gente: siamo vecchi, abbiamo gusti antichi, ci piace guardare con nostalgia nello specchietto retrovisore e poi quale ragazza o ragazzo sotto i trent’anni avrebbe oggi i soldi per comprarsi un vinile del suo artista preferito? Ma questa volta non è colpa del tricolore.
A inizio gennaio è uscita anche la classifica dei quaranta vinili più venduti in Gran Bretagna nel 2016.
Un paese ben diverso dal nostro, storicamente all’avanguardia in fatto
di musica moderna; con una classifica fresca fresca, riaperta a furor di
popolo nell’aprile 2015 perché non si poteva più far finta di niente di fronte al boom del vinile. Bene, tra i quaranta LP più venduti l’anno scorso in UK solo sei sono album pubblicati per la prima volta nel 2016. E il numero uno, quasi simbolicamente, è Blackstar di David Bowie
: il meraviglioso congedo di un altro signore
che 44 anni fa, nel 1973, era già piuttosto famoso. Al punto da potersi
permettere di uccidere il suo avatar più popolare, Ziggy Stardust.
Insomma, forse è arrivato il momento di sottolineare un aspetto troppo spesso nascosto nelle periodiche celebrazioni sulla rinascita del vinile. I numeri parlano chiaro e ci dicono che questo supporto è davvero protagonista di uno dei più clamorosi ritorni in vita dai tempi degli zombi di Romero. Tutti lo davano per spacciato: ucciso dai CD negli anni ’90 e seppellito dagli MP3 negli anni ’00. Oggi il suo fatturato vale solo una piccola fetta della torta complessiva della discografia, ma è una fetta che anno dopo anno diventa sempre più sostanziosa, lo fa da ormai un decennio e si sta togliendo lo sfizio di ritrovare vigore proprio mentre i suoi vecchi carnefici (i CD come gli MP3) sembrano invece avviati verso l’estinzione.
Tutto vero, tutto puntualmente confermato dai dati del 2016: in Gran Bretagna è stato l’anno in cui si sono venduti più LP dal 1991. Ma è anche vero che la seconda giovinezza del 33 giri ha tratti ben diversi dalla prima: il vinile è oggi il simbolo del museo del rock, la teca in cui contenere e mostrare capolavori del secolo che fu. Intendiamoci: capolavori veri, non fake music. Da Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band a The Dark Side of the Moon, da Hunky Dory a Led Zeppelin IV, da Hotel California a Rumours, da London Calling a Legend, da Hatful of Sorrow a The Stone Roses, fino a Nevermind e al più recente Back To Black, i titoli che sfilano nella Top 40 inglese del 2016 vanno a formare una sorta di canone rock che tutti dovrebbero conoscere. A modo loro, sono le Odissee, le Divine Commedie e gli Amleto del Novecento.
Ma appunto, stiamo parlando di storia. Non di attualità. Un fatto di cui si rendono conto anche gli addetti ai lavori, in particolare gli artisti e i discografici che cercano invece di produrre musica del presente e che faticano a raccogliere benefici da questa presunta nuova cornucopia di ricchezza. Lo scorso dicembre, il Guardian ha pubblicato un intervento di Nathaniel Cramp, proprietario di una piccola etichetta indipendente, la Sonic Cathedral. «Esistiamo da dodici anni e il 2016 è stato il più difficile di tutti», ha ammesso Cramp. «Per chi pubblica album di nuovi artisti, sta diventando sempre più complicato venderli. Dovremmo chiederci perché il pubblico preferisce comprare vecchi dischi».
Senza arrischiarci a rispondere a una domanda così insidiosa,
possiamo dire che forse si tratta di un passaggio generazionale che non
siamo ancora in grado di cogliere (o accettare): per la prima volta
nella sua storia il rock – con i suoi codici e i suoi supporti – non è
morto, è semplicemente passato. I suoi big giocano in un altro campionato temporale.
Mentre il presente e il futuro abitano in quel caotico, colorato,
bladerunneriano bazar in cui – tra la virtualità dello streaming,
l’incantesimo dei talent show e la fisicità dei festival – si mescolano
chitarre e ipad, new soul e hip hop, fantascienze elettroniche e
guerriglie folk. Certo è che mai come in questo periodo le classifiche
della musica ci offrono un racconto di due (e più) città diverse. Non
differiscono per genere, ma per formato.
La Top40 dei vinili ci presenta un mondo, quella delle radio un altro, quella di Spotify, Apple Music e YouTube un altro ancora. I punti di contatto sono sempre meno e il concetto stesso di disco si ritrova un po’ stritolato nel mezzo : il vinile e i Pink Floyd (e il rock) sembrano fatti l’uno per gli altri, mentre per molti artisti contemporanei è più naturale lasciare che i propri brani sguscino via, magari per finire direttamente sugli smartphone. Dove, dall’altra parte dello schermo, il pubblico sembra agire e reagire allo stesso modo.
d’epoca: The Wall (1979), Wish You Were Here (1975), Animals (1977). Potrebbe sembrare una delle tante debolezze che amiamo odiare nel nostro paese e nella sua gente: siamo vecchi, abbiamo gusti antichi, ci piace guardare con nostalgia nello specchietto retrovisore e poi quale ragazza o ragazzo sotto i trent’anni avrebbe oggi i soldi per comprarsi un vinile del suo artista preferito? Ma questa volta non è colpa del tricolore.
Insomma, forse è arrivato il momento di sottolineare un aspetto troppo spesso nascosto nelle periodiche celebrazioni sulla rinascita del vinile. I numeri parlano chiaro e ci dicono che questo supporto è davvero protagonista di uno dei più clamorosi ritorni in vita dai tempi degli zombi di Romero. Tutti lo davano per spacciato: ucciso dai CD negli anni ’90 e seppellito dagli MP3 negli anni ’00. Oggi il suo fatturato vale solo una piccola fetta della torta complessiva della discografia, ma è una fetta che anno dopo anno diventa sempre più sostanziosa, lo fa da ormai un decennio e si sta togliendo lo sfizio di ritrovare vigore proprio mentre i suoi vecchi carnefici (i CD come gli MP3) sembrano invece avviati verso l’estinzione.
Tutto vero, tutto puntualmente confermato dai dati del 2016: in Gran Bretagna è stato l’anno in cui si sono venduti più LP dal 1991. Ma è anche vero che la seconda giovinezza del 33 giri ha tratti ben diversi dalla prima: il vinile è oggi il simbolo del museo del rock, la teca in cui contenere e mostrare capolavori del secolo che fu. Intendiamoci: capolavori veri, non fake music. Da Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band a The Dark Side of the Moon, da Hunky Dory a Led Zeppelin IV, da Hotel California a Rumours, da London Calling a Legend, da Hatful of Sorrow a The Stone Roses, fino a Nevermind e al più recente Back To Black, i titoli che sfilano nella Top 40 inglese del 2016 vanno a formare una sorta di canone rock che tutti dovrebbero conoscere. A modo loro, sono le Odissee, le Divine Commedie e gli Amleto del Novecento.
Ma appunto, stiamo parlando di storia. Non di attualità. Un fatto di cui si rendono conto anche gli addetti ai lavori, in particolare gli artisti e i discografici che cercano invece di produrre musica del presente e che faticano a raccogliere benefici da questa presunta nuova cornucopia di ricchezza. Lo scorso dicembre, il Guardian ha pubblicato un intervento di Nathaniel Cramp, proprietario di una piccola etichetta indipendente, la Sonic Cathedral. «Esistiamo da dodici anni e il 2016 è stato il più difficile di tutti», ha ammesso Cramp. «Per chi pubblica album di nuovi artisti, sta diventando sempre più complicato venderli. Dovremmo chiederci perché il pubblico preferisce comprare vecchi dischi».
La Top40 dei vinili ci presenta un mondo, quella delle radio un altro, quella di Spotify, Apple Music e YouTube un altro ancora. I punti di contatto sono sempre meno e il concetto stesso di disco si ritrova un po’ stritolato nel mezzo : il vinile e i Pink Floyd (e il rock) sembrano fatti l’uno per gli altri, mentre per molti artisti contemporanei è più naturale lasciare che i propri brani sguscino via, magari per finire direttamente sugli smartphone. Dove, dall’altra parte dello schermo, il pubblico sembra agire e reagire allo stesso modo.
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